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L’eco di quella finale dell’US Open del 1980 risuona ancora oggi, alimentando leggende e dibattiti tra gli appassionati di tennis. La partita tra John McEnroe e Björn Borg non fu una semplice disputa sportiva, ma un confronto epico tra due stili, due personalità e due approcci mentali al gioco. McEnroe, “Superbrat,” con la sua esuberanza e il suo servizio-rete aggressivo, contro la glaciale e instancabile macchina svedese, Borg, il “monaco” del tennis. Quella sera a Flushing Meadows, la posta in gioco era altissima: Borg cercava di completare un Grande Slam e cementare il suo status di immortale.

Il punteggio, 7-6(7-4), 6-1, 6-7(5-7), 5-7, 6-4, non racconta solo i numeri, ma l’altalena di emozioni che ha tenuto il pubblico col fiato sospeso per oltre quattro ore. McEnroe, difensore del titolo, si trovò sull’orlo del baratro, salvando match point che avrebbero potuto consegnare la vittoria a Borg. Ma è proprio in quel momento che la sua incredibile forza mentale e la sua capacità di ribaltare una situazione disperata hanno trionfato. Dopo aver perso il terzo e il quarto set, la maggior parte dei giocatori si sarebbe arresa al destino. Non McEnroe. Il suo slancio, la sua tenacia e il suo coraggio lo hanno portato a conquistare un tie-break cruciale e a dominare psicologicamente il campo. In quel quinto set decisivo, la tensione era palpabile: ogni colpo di McEnroe era una dichiarazione di intenti, ogni risposta di Borg una dimostrazione di resistenza. La vittoria finale fu una conferma della genialità di McEnroe e segnò il punto di svolta in quella che sarebbe diventata una delle rivalità più iconiche della storia dello sport.

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